L’Aquila 1932 – 2018: 86 anni di presenza salesiana, di celebrazioni della festa di don Bosco. In tempi e modi diversi con i salesiani, laici, giovani, ragazzi di ogni razza e di ogni ceto sociale. Ma il don Bosco di ieri è lo stesso di oggi. Cambiano i contesti, i linguaggi…. Ma la sua pedagogia e il suo Sistema Preventivo, il suo amore per i giovani sono sempre di grande attualità.

Nel 130° anniversario della sua morte (avvenuta all’alba del 31 gennaio 1888), i salesiani con i ragazzi dell’Oratorio, con i giovani del Centro Giovanile, con tutta la Famiglia Salesiana, con gli studenti e docenti del Centro Professionale, mercoledì 31 gennaio vogliono unirsi per festeggiare con gioia e riconoscenza il loro padre, maestro e amico.

“Mi è stato chiesto di scrivere due righe e lo faccio volentieri”. Tralascio i grandi temi, anche per motivi di spazio, ed offro una breve riflessione su alcuni elementi educativi fondamentali appresi da Giovannino Bosco all’età dell’infanzia in una famiglia che ha dovuto affrontare non poche difficoltà, simili a quelle di tante famiglie di oggi.

Tutto da sua madre

Don Bosco ha avuto in dotazione una madre straordinaria, Margherita. Quando le morì il marito aveva solo 29 anni. Abbastanza giovane per il peso da portare con tre figli, la suocera inferma, casa e campi. Ma non trovò mai il tempo di compiangere se stessa. Il lavoro dei campi le sciupavano le mani, che però sapevano ugualmente accarezzare con dolcezza i suoi bambini.

Da lei Giovannino Bosco apprese alcuni elementi che lo accompagnarono per tutta la vita.

  • Amore dolce e fermo
    Fu questo primo elemento educativo a marchiare fortemente Giovanni.
    L’amore paterno esigente è quello che stimola all’impegno, al raggiungimento delle mete.
    L’amore materno gratuito e sereno è quello che dà il gusto di vivere al di là dei risultati, che consola nei giorni di sconfitta, che ricorda al figlio che qualcuno gli vuole bene “non per quello che fa” ma “per quello che è”, per il solo fatto di essere figlio.
    Mamma Margherita trovò in se stessa un equilibrio istintivo, che le fece miscelare ed alternare la fermezza calma e la gioia rasserenante. Era una mamma dolcissima, ma energica e forte. I figli, Antonio, Giuseppe e Giovanni, sapevano bene che quando diceva no, era no! Non c’erano capricci che facessero cambiare parere. Ma non rimaneva “con i nervi tesi”.
  • Lavoro
    Un secondo elemento educativo fu il lavoro. La mamma lavora ed i figli le danno una mano. C’è povertà vera, ma non miseria in casa Bosco, perché si lavora da parte di tutti.
    A 5 anni Giovanni va a pascolare con il fratello di 7 un piccolo branco di tacchini.
    A 9 anni comincia a lavorare da sole a sole come un piccolo contadino. E prova la soddisfazione profonda di far parte attiva di una famiglia. Gli psicologi la chiameranno “senso di appartenenza, di valorizzazione e di dignità”, elementi che danno il gusto di vivere e che don Bosco trasmetterà ai suoi ragazzi. Dirà un giorno che nelle sue case non ci sarà mai posto per i fannulloni e i poltroni, perché sinonimi di “estranei alla famiglia”, di “ragazzi senza dignità”.
  • Senso di Dio
    Il terzo elemento che assorbe da sua madre è il “senso di Dio”. Dio ti vede è una delle parole più frequenti di mamma Margherita
    Ma non è un Dio-carabiniere quello che lei scolpisce nella mente dei suoi piccoli. Se la notte è bella e il cielo è stellato dice: “E‘ Dio che ha creato il mondo e ha messo tante stelle lassù”.
    Al termine della mietitura, della vendemmia, mentre tirano il fiato dopo la fatica del raccolto: “Ringraziamo il Signore. E’ stato buono con noi. Ci ha dato il pane quotidiano”.
    Anche dopo il temporale e la grandine che hanno devastato tutto, la mamma invita i figli a riflettere: “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto. Lui sa il perché, fidiamoci sempre di Lui”.

Accanto alla mamma, ai fratelli, ai vicini, Giovanni impara così a vedere un’altra persona, Dio.  Una persona grande, invisibile, ma presente dappertutto.

Ma il “senso di Dio” per Margherita, e quindi per Giovanni, non si ferma qui. Si fa carità per il mendicante che chiede una minestra calda, per il renitente alla leva che sfugge ai carabinieri, per il vecchietto che chiede l’elemosina. “Fare un’opera di carità”, a quei tempi, si mettevano insieme tanti “valori”, che oggi chiamiamo generosità, impegno per gli altri, volontariato, altruismo.

Don Sergio Nuccitelli